Tiroide, un italiano su due
si affida a dottor Google



Un italiano su due ricerca attivamente sul web informazioni riguardanti la salute. È quanto emerge da una recente indagine condotta da GFK Eurisko. Internet è di fatto divenuta, dopo il proprio medico di fiducia (85% medico di base, 68% cerca sul web), la principale fonte per dubbi e quesiti sul proprio stato di salute o su specifiche malattie.
In virtù di questa consapevolezza durante il 9° Congresso dell’AIT, Associazione Italiana della tiroide, che si è tenuto recentemente a Udine, e organizzato dal professore Franco Grimaldi, direttore della struttura operativa complessa di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo dell’azienda Ospedaliero Universitaria di Udine, si è discusso di come utilizzare proficuamente internet raccogliendo il punto di vista non solo degli endocrinologi ma anche dei principali interessati, cioè i pazienti.Franco Grimaldi tiroide
«Dottor Google è sempre disponibile, non ci sono liste d’attesa, ha spiegato Andrea Frasoldati, responsabile della Struttura di Endocrinologia dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia; se pensiamo che il 10% della popolazione adulta può presentare nell’arco della propria vita un problema riguardante la tiroide, si comprende come internet, sulla base di una richiesta sempre più grande, abbia prodotto un’ampia offerta di contenuti diventando un interlocutore significativo per la raccolta di informazioni sulla tiroide e i suoi disturbi.
Tra gli argomenti che spingono maggiormente i pazienti a cercare risposte sul web vi sono i disturbi legati all’ipotiroidismo, la malattia più frequente di questa ghiandola. In alcuni pazienti la terapia con levotiroxina non sembra risolvere completamente la sintomatologia. Questi pazienti segnalano infatti il perdurare di disturbi a dispetto di esami apparentemente nei limiti di norma. Ed è interessante notare come nei blog dedicati all’argomento ad essere oggetto delle lamentele dei pazienti è proprio l’insufficiente capacità di ascolto, e di attenzione, da parte del proprio medico di famiglia o dello specialista endocrinologo, troppo sicuri del dato di laboratorio al punto di manifestare noncuranza nei confronti del disagio reiteratamente espresso al paziente. Di qui, la ricerca di risposte alternative sulla rete, con il rischio di imbattersi in fonti non proprio attendibili, ancorché “accoglienti” e di attingervi informazioni non corrette.

In rete non mancano siti ben fatti, ricchi di informazioni scientificamente corrette ed equilibrate, ma spesso tali siti non sono apprezzati proprio per il loro rigore e la loro neutralità. I testi redatti da medici, anche quando improntati ad obiettivi di tipo divulgativo, sono spesso caratterizzati da un lessico troppo tecnico, una ridotta empatia che porta il paziente sconfortato a cerca altrove. Viceversa, siti e pagine di social network, non altrettanto controllati dal punto di vista scientifico, risultano più attraenti- conclude Andrea Frasoldati – per stile comunicativo e riscuotono maggior successo tra gli utenti della rete».

Secondo Paola Polano, presidente del C.A.P.E., Comitato Associazioni Pazienti Endocrini, organismo a cui aderisce la quasi totalità delle Associazioni di pazienti endocrinologici costituitesi su tutto il territorio nazionale, «un ruolo chiave in tal senso può essere svolto dalle Associazioni di pazienti. Le Associazioni – ha affermato – sono in grado di selezionare, sulla base dell’esperienza collettiva, e fornire contenuti informativi di collaudata efficacia. Ne sono un buon esempio i siti di alcune delle principali organizzazioni britanniche di supporto ai pazienti con patologia tiroidea, quali la British Thyroid Foundation (www.btf-thyroid.org), e la Butterfly Thyroid Cancer Trust (www.butterfly.org.uk), i quali fanno informazione non soltanto consentendo a chi visita il sito di scaricare documentazione su patologie, farmaci, test diagnostici, ma anche raccontando storie di pazienti, proponendo filmati, e invitando i pazienti che entrano in contatto a partecipare in prima persona a progetti specifici di volontariato. In Italia, sul sito www.tiroide.com, è possibile accedere ai siti di ciascuna Associazione di pazienti esistenti in Italia in base al proprio territorio di riferimento».

«I medici – ha sottolineato Frasoldati- sono chiamati a prendere atto del ruolo di riferimento che la rete ha guadagnato sui temi che riguardano la salute. Lo specialista endocrinologo deve conoscere i principali siti in grado di fornire informazioni corrette e “user-friendly” sulle patologie tiroidee e aiutare i propri pazienti ad attrezzarsi culturalmente ed evitare fonti non affidabili».

«Il ricorso all’uso di internet dovrebbe essere prevenuto da un buon rapporto medico-paziente; un paziente soddisfatto e ben informato, sarà meno attratto dalle incerte risposte che può fornire la rete, ha aggiunto Marco Centanni, direttore UOC di Endocrinologia dell’Università La Sapienza, Ospedale Santa Maria Gorettti di Latina. Nelle malattie della tiroide, e nell’ipotiroidismo in particolare, la personalizzazione delle terapie è una necessità primaria. L’approssimazione terapeutica ha un costo clinico ed un costo economico. Nel caso della terapia con la levotiroxina, è riportato anche in letteratura che un’importate quota di pazienti denuncia uno stato di malessere e successive indagini anamnestiche rilevano che la non perfetta aderenza alla terapia, l’impiego di farmaci che riducono l’assorbimento della levotiroxina e ancora altri motivi sono causa di insuccesso terapeutico. Tale condizione, talvolta, peggiora il rapporto medico-paziente e offre ulteriori motivazioni alla ricerca online. Fondamentale, dunque, conoscere le principali cause che possono inficiare la terapia. Il passo successivo è la personalizzazione della terapia che può comprendere preparazioni alternative alla formulazione in compresse (liquido e soft gel) utili per i pazienti “difficili” che sono un numero tutt’altro che trascurabile. I costi dell’approssimazione terapeutica uniti a quelli di questi pazienti complessi (bambini, donne gravide, anziani in poli-terapia, pazienti con patologie o resezioni del tratto gastrointestinale ecc.) sono elevati e richiedono uno sforzo culturale e di aggiornamento».

«Alcuni risultati disponibili in letteratura, seppure non conclusivi, ha chiarito Bernadette Biondi, professore Associato di Endocrinologia presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli, suggeriscono che l’impiego di una terapia combinata con L-Tiroxina (T4) e Liotironina (T3) potrebbe migliorare la qualità di vita di alcuni pazienti ipotiroidei. Il trattamento combinato potrebbe essere utile nei pazienti che hanno subito l’asportazione completa della tiroide poiché dopo la chirurgia viene a mancare il contributo della ghiandola che normalmente produce il 20% della T3 circolante. La necessità di una terapia combinata deve tuttavia essere sempre valutata dallo specialista».

Pubblicato da: Redazione AZS

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