Anna Magnani
Una rosa (tatuata) per Nannarella


di Luciano Sterpellone

La “scusa per gli altri” è quella di andare in Svizzera a trovare la sorella malata. In realtà, Anna Magnani – ormai all’apice della gloria – vi si reca per cercare di conoscere, una volta per sempre, la ragione di quei “disturbi di stomaco” che tanto la tormentano da tempo. Nell’ambiente, tutti la conoscono come una noiosa “patofoba”, perennemente ossessionata dal pensiero di ammalarsi o di esserlo già, e le danno scarso credito: medici e amici.

Alla base della sua ansia, v’è certamente il dolore di aver visto il suo piccolo Luca paralizzato dalla poliomielite. Tuttavia, il fattore psicosomatico è solo un aspetto del problema: Anna soffre realmente da tempo di “dolori allo stomaco” che diventano ogni giorno sempre più acuti e continui. Qualche medico subodora qualcosa di serio, ma si limita a parlare vagamente di una “malattia del pancreas”. Anche in Svizzera capiscono che il problema è grave, ma lei vuole tornarsene a Roma.

L’attrice ha 65 anni. La “gavetta” l’ha fatta – ancora molto giovane – nell’avanspettacolo con piccole apparizioni nei piccoli cinema della periferia romana (i famosi “pidocchietti”), lavorando anche con Totò (ancora poco conosciuto) ed interpretando ruoli secondari in alcuni film. Fin quando il produttore Alessandrini ne intuisce le vere potenzialità artistiche. Colpito dall’innata vivacità del suo temperamento e dalla sua gestualità, la sposa e decide di lanciarla nel mondo del cinema nel ruolo, pur marginale, di una canzonettista nel film Cavalleria, con Amedeo Nazzari.

Seguiranno film di sempre maggiore successo con Totò, che  sta acquisendo grande notorietà (Quando meno te l’aspetti…Che ti sei messo in testa?); e conquista definitivamente il pubblico con Teresa Venerdì e Campo de’ Fiori (con Aldo Fabrizi e Peppino De Filippo): ora è per tutti “Nannarella”.  Ma presto il matrimonio con il produttore cala a picco e, da una relazione con l’attore Massimo Serato, nasce il piccolo Luca.

La celebrità arride ad Anna Magnani con l’ormai storico film Roma città aperta, che segna la nascita dello “stil nuovo” neorealistico del cinema italiano e che le vale il Nastro d’Argento per la magistrale interpretazione della donna che, nella scena finale, rincorre il camion delle SS sul quale hanno caricato il marito, ma viene uccisa da una raffica di mitra, sotto gli occhi impietriti della gente e del figlio: un tragico episodio realmente accaduto durante l’occupazione nazista della Capitale.

Ormai, anche Hollywood si interessa di lei: e, appositamente per Nannarella, il drammaturgo Tennessee Williams scrive La rosa tatuata, che lei interpreta accanto a Burt Lancaster conquistando il Premio Oscar nel 1956 come migliore attrice protagonista. Poco dopo, recita anche nel film Pelle di Serpente con Marlon Brando, che i critici stroncano senza pietà.

D’altronde, Nannarella non si sente una “diva”. E soprattutto non le piace Hollywood (“Non è il mio mondo: il mio mondo è Roma”). Rientra così in Italia, ove poco dopo ha inizio il suo declino fisico, ma soprattutto psicologico: è atterrita dal pensiero di invecchiare e di ammalarsi; si sente insicura, infastidita dalle cerimonie, dai ricevimenti, dalle interviste…

Ora, anche la salute vacilla e quegli strani dolori “allo stomaco”, sempre più lancinanti, cominciano a preoccuparla seriamente. Così, di ritorno dalla Svizzera, si rivolge al famoso chirurgo Paride Stefanini, pioniere dei trapianti in Italia, che decide di sottoporla ad un intervento.

Al tavolo operatorio (è l’11 settembre 1973), la situazione si prospetta subito assai più grave del previsto: un tumore del pancreas che ha già sviluppato metastasi al fegato e al peritoneo. Viene praticata un’operazione che già si sa non essere risolutiva; e ogni giorno un corriere aereo porta puntualmente da Houston un farmaco chemioterapico da poco messo a punto negli Stati Uniti…

Ma dopo due settimane la paziente entra in coma e si spegne serenamente. È finalmente giunta per lei quella morte che ha tanto temuto, ma che non le ha mai fatto perdere la sua stratripante voglia di sorridere (ogni volta che passava con l’auto vicino al Verano, il camposanto di Roma, lanciava dal finestrino un’occhiata discreta e sfuggente alle mura di cinta, faceva le corna e sussurrava;  “Tiè, pussa via! Devi aspettà!”).

La stessa sera della morte, si tiene una frenetica discussione dei dirigenti RAI sull’opportunità di trasmettere o meno il filmato 1870, l’atteso ultimo dei quattro episodi interpretati dall’attrice scomparsa, già preannunciato dai programmi. Alla fine si decide di mandarlo in onda proprio in suo omaggio.

Pubblicato da: Redazione AZS

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