Antibiotici, rischio resistenza


di Emanuela Medi

Emanuela-MediL’allarme è stato lanciato, da poco, dall’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel primo rapporto a livello mondiale su quella che viene definita una grave minaccia per l’umanità, e già si parla di nuova era “post-antibiotica”. Gli antibiotici sono sempre stati considerati un’arma importantissima per debellare molte infezioni, ma ormai da anni il loro utilizzo massiccio e improprio li ha resi sempre meno efficaci, tanto da dar luogo a quel fenomeno chiamato antibiotico-resistenza con un aumento di mortalità, costi dell’assistenza sanitaria e dei tempi di ospedalizzazioni.
«È questa l’era del post-antibiotico – asserisce Keiji Fukuda, vice direttore generale della sicurezza sanitaria dell’OMS – perché il fenomeno, che è ormai globale, può coinvolgere ogni persona a qualsiasi età o Paese di residenza».

Lo studio Antimicrobical resistence: global report on surveillance ha preso in esame 114 nazioni e messo in evidenza che, in questi Paesi, esistono alti tassi di resistenza a batteri come l’Escherichia coli, la klebsiella pneumoniae e lo stafilococco aureo, causa di infezioni comuni, come quelle urinarie, nosocomiali e le sepsi. Addirittura, per i primi due batteri, la resistenza alle cefalosporine di terza generazione – come si legge nel rapporto – supera il 50 per cento.

Negli ultimi anni, tra le resistenze, si è aggiunta quella ai carbapenemi, antibiotici di ultima risorsa, che può rendere l’infezione praticamente intrattabile. Cosi come è sempre più diffusa la resistenza a uno dei farmaci antibatterici, i fluorochinoloni, maggiormente utilizzati per combattere le infezioni urinarie da Escherichia coli.
Il problema si pone anche nei confronti di malattie gravi come la setticemia, le polmoniti, le infezioni sessuali e le diarree. Armi spuntate sia nei Paesi industrializzati, sia in quelli in via di sviluppo. La medicina antibatterica non funziona più, soprattutto nel nostro Paese.

«I dati globali di sorveglianza, derivanti dal progetto AR-ISS, Antibiotico-Resistenza – Istituto Superiore di Sanità, una sorveglianza sentinella coordinata dall’ISS – dice la dottoressa Annalisa Pantosti, direttore del reparto malattie batteriche, respiratorie e sistemiche dell’Istituto Superiore di Sanità – dimostrano che l’Italia, al confronto con gli altri Paesi europei, esce molto male. Siamo al secondo posto, dopo la Grecia, per la resistenza (29 per cento) ai carbapenemi per la Klebsiella pneumoniae. Una anomalia. Abbiamo una fortissima resistenza alle cefalosporine di terza generazione, così come è da registrare un’alta presenza di stafilococchi (35 per cento) resistenti alla meticellina. Fenomeno questo in diminuzione in Europa».

«Le infezioni correlate all’assistenza – fa notare la direttrice del reparto di malattie batteriche dell’ISS – sono un grave problema sanitario di tutti i Paesi del mondo. I dati in Europa indicano in 4,1 milioni i pazienti colpiti da infezioni ospedaliere con 37 mila morti l’anno e un costo di otre 6 miliardi che grava sui Sistemi Sanitari. In Italia, è colpito il 6 per cento dei pazienti, pari a 6-700 mila casi all’anno, con una prevalenza più alta rispetto a molte altre nazioni europee. Sicuramente, abbiamo un utilizzo degli antibiotici che è di tre volte superiore a quello dei Paesi scandinavi. In un caso su due, l’antibiotico non funziona, soprattutto quando si tratta di pazienti in ospedale sottoposti a importanti terapie antibiotiche».

Ed è proprio nell’ambiente ospedaliero che si diffonde l’antibiotico-resistenza, sia perché si fa maggior uso di diversi antibiotici, sia perche c’è un più alto numero di malati problematici. «Il controllo di tutte le procedure, in particolare quelle relative ai cateteri, l’isolamento del malato portatore di un ceppo batterico particolarmente resistente, la continua sorveglianza di tutti gli ambienti in cui sostano malati ad alta intensità di terapia è l’unico modo per spezzare la catena della diffusione della resistenza», conclude Annalisa Campotosti.

Indicazioni che non si discostano da quelle raccomandate dall’OMS. Un gap messo in luce dall’Organizzazione Mondiale della Sanità riguarda l’assenza – in alcuni Paesi – di strumenti per affrontare il problema della resistenza: dalla sorveglianza, ai sistemi di tracciabilità, ma soprattutto la prevenzione che include igiene, lavaggio delle mani, accesso ad acqua pulita, controllo delle infezioni.
Massima attenzione all’informazione ai pazienti, che devono utilizzare gli antibiotici solo se prescritti dal medico e per tutto il tempo indicato, anche se si sentono meglio, ma anche ai farmacisti e agli operatori sanitari che devono prescrivere gli antibiotici solo se necessari, aiutando il paziente nella cura e nella prevenzione.

L’OMS certamente non si è dimenticata dell’industria farmaceutica che, come rileva il rapporto, è poco attenta all’innovazione in questo settore. Da molti anni non sono state prodotte nuove molecole, probabilmente perché l’attenzione delle industrie si è spostata più verso le malattie croniche che necessitano dei farmaci per lunghi anni, mentre nel caso dell’antibiotico i tempi sono ristretti perché è tanto più efficace quanto più rapido è il suo tempo di azione.

Pubblicato da: Redazione AZS

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