Trattamenti super personalizzati, “dosi” ad hoc per ogni singolo paziente sono gli strumenti base della medicina di precisione che in questi ultimi anni ha permesso di ottenere risultati terapeutici estremamente importanti per i pazienti oncologici. Ma come vengono gestiti i trattamenti ‘super personalizzati’? Come vengono creati, con quali profili di sicurezza e, soprattutto, quali sono i rischi e i benefici per i pazienti e per gli operatori nella gestione degli agenti chemioterapici antiblastici? Sono questi i punti cardine del primo documento di consenso a livello europeo sulla “Gestione del rischio di esposizione del personale sanitario nella manipolazione dei farmaci antineoplastici iniettabili”, realizzato con il patrocinio di SIFO – Società Italiana Farmacisti Ospedalieri e di AIIAO – Associazione Italiana Infermieri di Area Oncologica con il contributo incondizionato di Becton Dickinson.
“Negli ultimi anni il ruolo del farmacista ospedaliero si è molto evoluto e la sua complessità è cresciuta di pari passo con quella dei farmaci e dei sempre maggiori livelli di qualità e sicurezza richiesti in campo sanitario – dichiara Marcello Pani, Presidente SIFO. Questo primo documento tutto italiano che oggi presentiamo è frutto del lavoro di esperti di diverse estrazioni professionali, che per la prima volta evidenzia le fasi di un processo molto articolato, che sta dietro la composizione dei farmaci antiblastici, ma che soprattutto nasce dalla necessità di attuare misure di prevenzione nella preparazione e somministrazione dei farmaci antiblastici al fine di garantire l’appropriatezza prescrittiva e la sicurezza della terapia”.
I farmaci antiblastici sono considerati “hazardous drugs”, ossia “cancerogeni per l’uomo”, come evidenziato anche da IARC – Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, sulla base delle evidenze scientifiche che hanno documentato l’esistenza del rischio di tossicità a breve e a lungo termine per gli operatori addetti alla preparazione e somministrazione dei trattamenti e quindi un chiaro nesso causale tra esposizione professionale e possibilità di sviluppo di neoplasie.
“In relazione al rischio di esposizione, la normativa comunitaria di igiene e sicurezza in ambiente di lavoro, recepita nell’ordinamento nazionale (D.Lgs.81/2008 e s.m.i.) impone l’esecuzione della valutazione del rischio e la realizzazione di tutte le misure di sicurezza da parte del datore di lavoro che impiega l’R.S.P.P., nonché indicazioni dei dirigenti di settore e/o di ulteriori figure del management – afferma Roberto Lombardi, Dipartimento Innovazioni Tecnologiche, Settore Ricerca e Certificazioni INAIL, Roma – Tuttavia poiché sono ancora molte le realtà in cui ciò non avviene, si è reso necessario un documento che sollevi l’attenzione sul problema e definisca procedure precise mediante caratterizzazioni tecniche dettagliate delle misure di sicurezza a tutela dell’operatore e anche del paziente”.
Per chi gestisce i farmaci antiblastici le possibili vie di esposizione più frequenti sono quella inalatoria o da contatto con rischio di tossicità acuta o tardiva. “La tossicità acuta consiste principalmente in reazioni di ipersensibilità, irritazione, congiuntivite, allergia – precisa Francesca De Plato, Referente Nazionale Area Scientifico-Culturale Rischio chimico e biologico SIFO – La tossicità tardiva, invece, causata come la precedente da inalazione o contatto, come avviene appunto nel caso di operatori che lavorano tutti i giorni nei laboratori, può generare complicazioni significative, nonché altre tossicità tardive a carico dell’apparato riproduttivo e del feto, sul quale causano effetti teratogeni, ossia malformazioni sul nascituro”.
I farmacisti ospedalieri sono i professionisti responsabili del controllo delle prescrizioni e della preparazione in sterilità dei chemioterapici, immunoterapici e farmaci biologici. Queste attività vengono condotte all’interno di Unità denominate UFA – Unità Farmaci Antiblastici ovvero strutture per la manipolazione dei farmaci chemioterapici, la cui finalità è quella di garantire la qualità del prodotto finito e la sicurezza in tutte le fasi dell’attività di preparazione. Oggi delle 331 oncologie censite in Italia, circa l’80% sono servite da UFA; in media ciascuna UFA ha un volume di attività che si aggira sulle 20.000 unità di somministrazione per anno, anche se esistono UFA con volumi superiori alle 40.000. In media in ogni singola UFA sono impiegati 1 o 2 farmacisti e 3 o 4 tecnici/infermieri.
Normalmente il farmaco antineoplastico viene prescritto dal medico in dose personalizzata, viene preparato a partire dalla specialità medicinale industriale e prodotto mediante procedure di ricostituzione e diluizione, con l’applicazione di formule matematiche e nel rispetto dei criteri di compatibilità fra sostanze. Il preparato viene quindi inviato in reparto, dove verrà somministrato al paziente.
“Il farmacista ha da sempre avuto un ruolo rilevante nella gestione del farmaco e negli ultimi anni si è assistito ad una importante evoluzione di questa figura professionale – dichiara Emanuela Omodeo Salè, Referente Nazionale Area Scientifico Culturale Oncologia SIFO – La crescente personalizzazione delle terapie, soprattutto in ambito oncologico, non solo ha reso più complesso il ruolo del farmacista essendo più eterogeneo l’algoritmo decisionale del trattamento del paziente, ma ha imposto anche la necessità di considerare con sempre maggiore preoccupazione i rischi legati all’esposizione professionale a questi composti da parte del personale sanitario coinvolto nella loro preparazione, somministrazione e smaltimento”.
L’incidenza delle malattie oncologiche ammonta a 12 milioni di nuovi casi nel mondo l’anno, destinati quasi a raddoppiare entro il 2030. L’aumento delle neoplasie ha portato ad un utilizzo sempre più diffuso dei agenti chemioterapici antiblastici che vengono attualmente gestiti con dei dispositivi di protezione individuale (DPI), che gli operatori sanitari devono indossare e smaltire in modo corretto, e dispositivi di protezione collettiva (DPC), quali le cappe a flusso laminare verticale e i cosiddetti sistemi chiusi di trasferimento farmaci, che gli operatori sanitari devono impiegare in fase di preparazione e somministrazione, al fine di proteggere se stessi e i pazienti presenti nella struttura sanitaria dal rischio di esposizione.
“La tecnologia attuale mette a disposizione dispositivi innovativi detti a “circuito chiuso”, quindi ermetici e a stagno, che devono essere impiegati sia in fase di preparazione che di somministrazione ai pazienti. È necessario, però, scegliere sistemi che abbiamo veramente caratteristiche tecnologiche volte a garantire il sistema ermetico, che meccanicamente impedisca la fuoriuscita dei farmaci pericolosi, la contaminazione microbiologica del farmaco stesso e al contempo faccia in modo che gli operatori non vengano a contatto con le sostanze antiblastiche – aggiunge De Plato. Al di là dell’aspetto umano che è naturalmente imprescindibile, teniamo presente anche che i farmaci oncologici rappresentano un importante capitolo di spesa che può essere ridotto tramite la cosiddetta ‘Drug Vial Optimization’ (DVO), ovvero un’ottimizzazione del farmaco contenuto nella fiala. La preservazione del contenuto delle fiale, che solo alcuni “sistemi chiusi” garantiscono, è volta al risparmio di farmaco grazie alla minimizzazione degli scarti” – conclude la dottoressa.