Giornata Mondiale del Parkinson



Sono circa 250 mila le persone che, in Italia, vivono con il Parkinson. Molte di più quelle che “convivono” con il Parkinson, ovvero i familiari e i caregiver. È, comunque, un numero che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene raddoppierà entro il 2040, principalmente a causa del progressivo aumento dell’età media della popolazione.
Come tutte le patologie neurodegenerative fa paura ed evoca lo spettro della disabilità e della perdita di autonomia. Nonostante le terapie farmacologiche siano efficace per un ampio range di situazioni, in molti pazienti residua un ampio range di sintomi motori in cui il tremore degli arti a riposo è il più noto ma non il più importante.

Oggi per la Giornata Mondiale del Parkinson moltissime le iniziative, in tutta Italia, per focalizzare l’attenzione verso questa patologia.
Giornata ParkinsonAll’Istituto Clinico Humanitas IRCCS di Rozzano, ad esempio, che sostiene l’iniziativa “Pro-Muovi-Amo la Ricerca”, organizzata da Limpe, Lega italiana per la lotta contro la malattia di Parkinson, le sindromi extrapiramidali e le demenze e da Dismov-Sin, Associazione italiana disordini del movimento e malattia di Parkinson e che in occasione di questa Giornata metterà a disposizione, dei pazienti e dei loro familiari, gli specialisti che si occupano dei diversi aspetti della gestione della malattia del Parkinson (fisiatra, internista, neurologo, neuroradiologo, neurochirurgo e psicologo) per rispondere alle domande e illustrare attività assistenziali e di ricerca.
Anche Palermo celebrerà la giornata presso il CTO, sede dell’ambulatorio Parkinson dell’Azienda Villa Sofia – Cervello, centro di riferimento regionale per questa malattia, coordinato dalla dottoressa Tania Avarello. Un momento di incontro che servirà anche a tracciare un bilancio del progetto che da oltre un anno viene portato avanti in collaborazione con l’Asp 6 per l’assistenza domiciliare ai pazienti affetti dalla malattia.
Un progetto, sostenuto dall’Assessorato regionale alla Salute, che mira a migliorare il processo di riabilitazione sia motoria che cognitivo-logopedica dei pazienti, e la realizzazione di un percorso diagnostico terapeutico che segua il paziente nella progressione della malattia. Attualmente sono più di 500 i pazienti seguiti presso il centro del Cto.

Sino a pochi anni fa si data l’esordio della malattia fra i 59 e i 62 anni, ma negli ultimi anni l’età della prima diagnosi si sta sensibilmente abbassando, sino ad includere alcuni casi di giovani adulti: oggi un paziente su 10 ha meno di 40 anni e uno su 4 ne ha meno di 50. Il fenomeno è probabilmente legato anche a una maggiore capacità di diagnosi della malattia, identificata quando è ancora in fase molto precoce.

«Nell’immaginario collettivo – spiega il professor Alberto Albanese, responsabile di Neurologia di Humanitas – la malattia di Parkinson è associata immediatamente alla terza età, ma questo è un dato da riconsiderare. Sebbene colpisca in particolare fra i 59 e i 62 anni, può esordire anche in età meno avanzata. 1 paziente su 4 ha meno di 50 anni e 1 su 10 meno di 40. Ci sono maggiori casi di Parkinson diagnosticato in età più precoce anche perché i medici di famiglia sono più attenti e sensibili ai sintomi che possono portare a un sospetto di Parkinson giovanile. La medicina è in grado di fare diagnosi quando la malattia è davvero all’esordio».

Negli ultimi anni la ricerca si è dedicata a settori quali le terapie del Parkinson e la prevenzione, inclusa la possibile messa a punto di un vaccino. «Il vaccino su cui sta lavorando la ricerca – afferma Albanese – è un concentrato di anticorpi in grado di colpire le proteine che si accumulano nei neuroni, un tratto tipico delle malattie neurodegenerative».

Per quanto riguarda le terapie, se per trattare i sintomi del Parkinson ne esistono diverse, non si può dire altrettanto per quelle preventive, destinate ai soggetti a rischio perché predisposti, e “curative”. Al momento ci sono solo indicazioni che la ricerca sta approfondendo con un discreto margine di successo. Ad esempio, la cosiddetta “neuroprotezione”: diversi studi stanno testando farmaci che modificano il processo morboso della malattia.

Una novità per migliorare i sintomi motori degli ammalati di Parkinson che hanno una risposta minore ai trattamenti farmacologici potrebbe arrivare da una nuova terapia riabilitativa non invasiva la AMPS – ossia la Automated Mechanical Peripheral Stimulation. Questo è un trattamento, messo a punto da un team di ricercatori svizzeri, che si basa su una stimolazione non invasiva e senza effetti collaterali del sistema nervoso periferico. Agisce tramite impulsi meccanici controllati erogati in specifiche aree di entrambi i piedi, una stimolazione che viene erogata con un dispositivo medico denominato GONDOLA®, progettato per l’utilizzo domiciliare da parte del paziente.
È una terapia sintomatica che integra quella farmacologica e che risulta efficace in tutti quei casi nei quali sintomi come instabilità posturale, bradicinesia, lunghezza dei passi, sicurezza nel cammino non hanno una copertura adeguata con le terapie tradizionali.

Secondo i ricercatori il trattamento, inoltre, dà particolari risultati nel miglioramento del ‘Freezing della marcia’, quel fenomeno per il quale i piedi del paziente improvvisamente si bloccano, anche durante il cammino, creando momenti di difficile gestione non solo per i rischi di caduta, ma anche per l’imbarazzo di trovarsi immobile, di non riuscire a ‘partire’ in mezzo ad altre persone; può causare gravi cadute, con conseguenti fratture, e determinare inabilità allo svolgimento di molte attività quotidiane; gli episodi di Freezing possono avere durata molto lunga, e risultano invalidanti fisicamente e psicologicamente. Il Freezing è caratteristico delle fasi intermedia ed avanzata della malattia, e, nella maggior parte dei casi, risulta resistente ai trattamenti farmacologici.

«Nata dopo lunghe ricerche e sperimentazioni, -afferma professore Fabrizio Stocchi dell’IRCCS San Raffaele di Roma- eroga un trattamento di stimolazione meccanica di specifiche aree della superficie dei piedi. È stata accolta con molta curiosità e – da alcuni colleghi – con un certo scetticismo, ma gli studi condotti con rigorosa metodologia scientifica negli ultimi tre anni hanno ne hanno documentato l’efficacia; nuovi studi sono in fase di avvio, serviranno per confermare i risultati ottenuti, e vedranno coinvolti gruppi crescenti di pazienti».
«Siamo molto contenti dei risultati ottenuti, – sottolinea la dottoressa Maria Francesca De Pandis, responsabile del Centro Parkinson dell’Ospedale San Raffaele di Cassino che ha disegnato lo studio clinico nel quale è stata effettuata la risonanza magnetica funzionale al cervello dei pazienti prima e dopo la stimolazione con GONDOLA – perché oggi abbiamo anche dei risultati importanti che ci aiutano a meglio comprendere il meccanismo di azione di questo interessante approccio terapeutico».

Pubblicato da: Redazione AZS

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